Gravità del
disturbo bipolare rivelata dalla disfunzione sessuale
GIOVANNA REZZONI
NOTE E
NOTIZIE - Anno XIX – 15 ottobre 2022.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Il disturbo
bipolare, un tempo definito psicosi maniaco-depressiva o psicosi bipolare,
è sempre esistito nella realtà umana e può essere riconosciuto in descrizioni
biografiche antichissime, anche se la sua precisa caratterizzazione clinica e
nosografica è relativamente recente.
Si deve ad
Areteo[1], un
medico della Roma imperiale giunto dalla Cappadocia, la prima dettagliata descrizione
della fenomenica comportamentale di pazienti affetti da una malattia
caratterizzata da umore depresso o melancolico seguito da uno stato psichico
del tutto opposto di eccitazione maniacale. Areteo comprese la connessione tra
le due forme e affermò che la mania non è sempre il risultato della malinconia.
Si legge nei suoi scritti: “La Melanconia costituisce l’inizio della Mania e ne
è parte integrante… Lo sviluppo della Mania rappresenta un peggioramento della
Melanconia piuttosto che il passaggio a una patologia differente”[2]. In proposito
Arieti osserva: “Sembra quindi che Areteo abbia anticipato di almeno
diciassette secoli il contributo di Kraepelin. In un certo senso andò ancora
più lontano di lui, perché ritenne che le remissioni spontanee non dessero
affidamento”[3].
Areteo aveva caratterizzato in modo attento e sapiente la psicologia dei due
stati mentali, descrivendo i sofferti atteggiamenti religiosi del melancolico,
dominati da sensi di colpa, sacrificio espiatorio, autoaccusa e autopunizione,
contrapposti alla spesso gaia, ottimistica e superficiale iperattività dell’eccitato
maniacale[4].
Le
acquisizioni di Areteo furono presto ignorate e poi dimenticate, durante i
secoli in cui molti disturbi mentali furono demedicalizzati e attribuiti a
possessione demoniaca o a turbamento spirituale. Cameron, in una trattazione
classica della storia del disturbo bipolare, classificato tra le psicosi
funzionali nel secolo scorso, riporta che il carattere alternante maniacale e
depressivo era stato rilevato da Bonet nel 1684, da Schacht
nel 1747 e Herschel nel 1768[5]. Ma
soltanto con la nascita della psichiatria contemporanea e, in particolare, in
Francia con Falret nel 1851 si avrà una nuova descrizione del disturbo con il
suo carattere intermittente e ciclico. Kahlbaum tentò
di ricondurre melanconia e mania a due stati di vesania tipica nel 1863,
ma il tentativo fu bocciato dai maggiori psichiatri del tempo che, in massima
parte, attendevano gli esiti delle osservazioni del grande nosografista
Kraepelin. Quest’ultimo, seguendo Falret e Baillarger, adottò i loro criteri
nell’analisi di molti pazienti affetti dal disturbo periodico e, infine, elaborò
il concetto di psicosi maniaco-depressiva, come una sindrome che includeva la
mania semplice, molti casi di melanconia semplice e la follia circolare o
periodica. Da notare che Kraepelin studiò per molto tempo questo disturbo, ma
solo nella sesta edizione del suo celebre Lehrbuch
der Psychiatrie (1899) – che costituiva la norma
nosografica in Europa – usò per la prima volta la definizione di “follia
maniaco-depressiva” e solo nell’ottava edizione (1913) sviluppò la concezione
che rimase dominante nella clinica psichiatrica fino agli anni Ottanta.
Non è
superfluo ricordare perché oltre ottanta anni dopo la scelta di Kraepelin, la
psichiatria in America e in Europa conserva la categoria delle psicosi
per il disturbo bipolare: “Il termine psicosi, però, non indica solo una
gravità reale o potenziale della malattia, ma indica anche il fatto che il modo
psicopatologico di vivere è, in un certo senso, accettato dal paziente”[6]. È
dunque posta in questione, anche se indirettamente, la “coscienza di malattia”.
In altre parole, mentre nei disturbi d’ansia, a quel tempo definiti “nevrosi”,
la persona affetta riconosce l’influenza dello stato ansioso sui propri
pensieri, nel bipolare spesso si assiste all’assunzione da parte del paziente
di prospettive, punti di vista e atteggiamenti mentali indotti dallo stato
mentale depressivo o di eccitazione maniacale, come propri. Oggi, che si tende
a declinare le psicosi prioritariamente in termini di deliri e allucinazioni,
non si ritiene sufficiente questo sintomo per parlare di psicosi; tuttavia,
bisognerebbe ricordare la presenza di questo tratto caratteristico del disturbo
bipolare, spesso ignorato nell’attuale pratica clinica[7].
Questi cenni
storici introducono a una questione di notevole importanza: dal tempo di Areteo
a oggi, se si esclude la distinzione in due livelli di impegno clinico (disturbo
bipolare I e II), non sarebbe cambiato molto se non si fosse
compreso un aspetto sottolineato spesso dalla nostra scuola neuroscientifica,
ossia che ai due poli dell’umore corrispondono due regimi funzionali differenti
di tutto l’organismo. È molto evidente la differenza se si prende in considerazione
la fisiologia del sistema autonomo o se si studiano i profili neuroendocrinologici
e neuroimmunologici.
Se il disturbo
bipolare comporta un’alterazione della normale fisiologia che include aspetti
che vanno dalla regolazione centrale a quella viscerale, non meraviglia che Aroldo
A. Dargel e colleghi abbiano indagato la presenza di
disfunzione sessuale in donne e uomini affetti da disturbo bipolare e ne
abbiano studiato il rapporto con la gravità della sindrome psichiatrica.
(Dargel A. A. et al.,
Sexual dysfunction among males and females with bipolar disorder and healthy
subjects: The burden of illness severity. Bipolar Disorder – Epub ahead
of print doi: 10.1111/bdi.13249, 2022).
La provenienza degli autori è la seguente: Institute
Pasteur, Unity Perception and Memory, Paris (Francia); National Center of
Scientific Research, Mixed Unity of Research, Paris (Francia); Study Center of Sexuology and Human Sexuality, University Paris Descartes, Paris
(Francia); Hub of Bioinformatic and Integrative Biology, Institute Pasteur, Paris
(Francia).
Prima di riferire di questo studio, si propone uno
stralcio da un nostro precedente articolo allo scopo di introdurre agli
approcci attuali al disturbo bipolare.
“L’angusta restrizione delle riflessioni
dello psichiatra alle categorie del DSM e il suo frettoloso ricorso alla
prescrizione liberatoria di farmaci che riducano drasticamente le
manifestazioni cliniche, sta poco a poco cancellando l’abitudine allo studio
del paziente, che ha costituito il patrimonio di documentazione clinica e di
conoscenza umana che la psichiatria dell’ultimo mezzo secolo ha fornito alla
medicina e alla cultura. Ad esempio, lo studio psicologico e fenomenologico
delle persone affette da disturbi che possono dare luogo a quadri di psicopatologia bipolare, costituiva
un’esperienza di straordinaria importanza per entrare nelle dinamiche mentali,
riconoscere i fattori in grado di peggiorare il funzionamento psichico fino a
modalità francamente psicotiche e prevenire o rallentare questa evoluzione con
l’aiuto del paziente, fino a quando lo stato della sua coscienza lo avesse
consentito.
Nel DSM-5 si legge a proposito del disturbo bipolare I: “I criteri del
disturbo bipolare I rappresentano la moderna comprensione del classico disturbo
maniaco-depressivo o psicosi affettiva descritta nel diciannovesimo secolo, distinguendosi
da quella classica descrizione soltanto per il fatto che né la psicosi né
l’esperienza nella vita di un episodio depressivo maggiore sono richieste”[8].
A parte che sulla “moderna comprensione” ci sarebbe molto da dire e da
dissentire, anche solo considerando il fatto che i progressi nella genetica e
nella psichiatria molecolare indicano un rapporto complesso e poco definito fra
basi biologiche e manifestazioni cliniche, mentre il DSM traccia rigidi confini
su base comportamentale, come se fossero state scoperte precise corrispondenze
fra specifici genotipi o processi patogenetici e categorie del manuale. Ma,
soprattutto, si deve rilevare che nessuna affermazione in queste poche righe è
corretta. Nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo si parlava di psicosi, o tutt’al più di follia maniaco-depressiva, quale forma,
peraltro poco frequente con i criteri dell’epoca, di psicosi affettiva; essendo le altre, la psicosi maniacale e la psicosi
depressiva. Quest’ultima, poi, era considerata la forma psicotica, espressa
nelle persone geneticamente predisposte (depressione
endogena), delle sindromi depressive reattive ad eventi o sviluppate come
nevrosi (psiconevrosi emozionale) nelle
persone prive di quella predisposizione genetica[9].
Completando la critica alle affermazioni del DSM-5, si deve osservare che non è
corretto affermare che il disturbo
bipolare I equivalga alla psicosi maniaco-depressiva “soltanto che né la psicosi
né l’esperienza nella vita di un episodio depressivo maggiore sono richieste”.
Tale affermazione sarebbe corretta se fosse riferita alla categoria delle prime
edizioni del DSM, ma è assolutamente erronea, come ognuno può verificare
leggendo i trattati di psichiatria dell’epoca, inclusi quelli che ancora si
pubblicano nelle nuove edizioni che riportano i criteri in auge in passato, se
la si riferisce a quella che viene definita nel DSM “psichiatria classica”.
Quella psichiatria, sviluppata in ambito
medico-scientifico e non psicologico-statistico come ormai il DSM, conservava
una prudenza di classificazione ed una fedeltà di osservazione che la tenevano
lontana da una rigida definizione di una categoria diagnostica in assenza di
evidenze certe, quali quelle, ad esempio, che le differenti sedi di lesioni
cerebrali conferivano alla neurologia. Troviamo, infatti, descrizioni di “crisi
ad evoluzione periodica della psicosi maniaco-depressiva”, come osservate nel
dettaglio da vari psichiatri in differenti nazioni e contesti, proposte nella
loro successione detta periodica o intermittente, sia dello stesso tipo, e
perciò detta unipolare, sia dei due
tipi, e per questo definita bipolare,
secondo 8 tipi di profili di esperienza[10].
La necessità che sia presente la “psicosi” – soprattutto se gli autori del
DSM-5 la intendono secondo il modello della schizofrenia (allucinazioni, deliri
e deficit cognitivo) – non era una conditio
sine qua non per l’inclusione in un ambito nosografico che era
realisticamente concepito in modo molto più flessibile e indefinito di quello
artificialmente costruito nel DSM.
Nel celebre manuale di psichiatria
clinica di Kolb si possono leggere spunti interessanti, che trovano ancora oggi
riscontro nell’esperienza di chi osserva ed ascolta le persone con questo
genere di problemi: “Le anomalie dell’attività, dell’affettività e del pensiero
mostrano spesso, ad un osservatore occasionale, di avere una plausibile
relazione con l’ambiente sociale che circonda direttamente il paziente”[11].
L’elaborazione noetica, pur partendo spesso da un bisogno affettivo, da una
frustrazione, da uno stato d’animo che induce esaltazione o rivendicazione, si
sviluppa secondo una plausibilità razionale. Infatti, uno psicologo che non
abbia formazione ed esperienza psichiatrica, spesso stenta a riconoscere come
deliri le produzioni di pensiero di queste persone, soprattutto se ne assume il
punto di vista. La distanza dalla realtà spesso è difficile da misurarsi, al
contrario di quanto accade con i deliri dello schizofrenico, per l’abile
spostamento dell’asse di senso dal rapporto con la realtà oggettiva alla
condivisibile soggettività del registro affettivo. Sempre nel manuale di Kolb,
ma anche nei paragrafi psicodinamici del trattato dell’American Psychiatric Association
diretto da Silvano Arieti, si leggeva una nozione che, pur superata nel
fondamento teorico psicoanalitico, trova ancora riscontro nella realtà
comportamentale: le maggiori difese contro la depressione sono costituite da negazione e proiezione[12],
intese come atteggiamento mentale che tende a negare la realtà e ad attribuire
ad altri propri sentimenti o responsabilità.
Alla luce delle acquisizioni più
recenti, che dimostrano un’alta ereditabilità a fronte di una gamma vasta ed
eterogenea di genotipi associati ad aumentato rischio, l’osservazione delle
persone affette da disturbo bipolare allo scopo di stabilire una relazione
terapeutica efficace, dovrebbe essere sempre sistematicamente associata allo
studio della loro famiglia.
Per la ricerca psicopatologica il
problema principale è la definizione delle basi fisiopatologiche del disturbo, che
costituirebbero un punto di partenza per scoprire i meccanismi
dell’eziopatogenesi. Un nuovo approccio, quello che impiega le cellule
staminali pluripotenti indotte, sembra estremamente promettente in tal senso.
Madison e numerosi colleghi del MIT e di Harvard, impiegando questo paradigma,
hanno ottenuto risultati di notevole interesse, che suggeriscono un impiego più
esteso di questo approccio allo studio delle basi biologiche dei disturbi
mentali”[13].
Può essere utile anche la lettura di uno studio,
esemplare di un filone di ricerca, sull’individuazione di marker di
stato della depressione e del disturbo bipolare[14].
Infine, bisogna tener conto del rilievo attuale degli studi sul rapporto tra
orologio biologico e disturbi dell’umore[15].
Ritorniamo allo studio qui recensito.
Le disfunzioni sessuali hanno un impatto di ampio
raggio sulla fisiologia dell’organismo e sulla qualità della vita e, nei
pazienti psichiatrici, sono in genere associate alle malattie mentali più gravi
e alle peggiori risposte alla terapia. Considerata la scarsità di dati su
questo argomento per gli affetti da disturbo bipolare, Aroldo A. Dargel e colleghi hanno condotto il
loro studio indagando 80 pazienti ambulatoriali di sesso maschile e femminile affetti
dal disturbo, e comparando i loro dati con quelli di 70 volontari equivalenti
ma privi di disturbi e fungenti da gruppo di controllo. La fisiologia sessuale
è stata valutata mediante l’impiego del Questionario dei Cambiamenti nel
Funzionamento Sessuale (CSFQ-14), uno strumento validato e specifico per
ciascun genere.
La fisiologia
sessuale dei pazienti è risultata complessivamente molto compromessa e
significativamente diversa da quella delle persone appartenenti al gruppo di
controllo. I livelli più alti di sintomi depressivi sottosoglia erano associati
ad un aumento del 20% di alterazioni dell’interesse sessuale e frequenza delle
disfunzioni, e fino al 60% di aumento dei disturbi dell’orgasmo.
In conclusione,
dall’analisi dei risultati emersi dallo studio, per il cui dettaglio si rimanda
al testo integrale dell’articolo originale, si evince che la fisiologia o
fisiopatologia sessuale può essere un utile parametro per giudicare la gravità
del disturbo bipolare e conoscere in modo più completo le caratteristiche
cliniche dei pazienti.
Auspichiamo
ulteriori studi su campioni di maggiori dimensioni per verificare questi
risultati e per valutare l’associazione temporale tra disfunzioni sessuali e gravità
del disturbo, attraverso gli spettri dei diversi gradi di umore e dei diversi
tipi di trattamento. Ma, soprattutto, speriamo che si indaghino le basi
neurobiologiche di questa associazione.
L’autrice della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle
recensioni di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna Rezzoni
BM&L-15 ottobre
2022
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di
Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice
fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Areteo di Cappadocia (I-II secolo
d.C.) è noto per aver coniato la parola diabete e per aver descritto la
celiachia per la prima volta.
[2] Karl Deichgraber,
Aretaeus von Kappadozien
als medizinischer Schriftsteller (traduzione italiana di G. Rezzoni), Berlin 1971.
[3] Silvano Arieti (a cura di), Manuale
di Psichiatria in 3 voll.: vol. I, p. 585, Boringhieri, Torino 1985.
[4] Oggi, volendo adoperare questo
lessico, ormai in disuso per definire gli stati di eccitazione, definiremmo “ipomaniacale”
quello stato in cui ancora si riconosce l’umore allegro, che scompare nella
crisi maniacale, caratterizzata da aggressività distruttiva. Areteo riferisce anche
di un giovane affetto da una grave forma di melancolia per la quale i medici
erano molto pessimisti, ma che guarì improvvisamente appena si innamorò.
[5] Cameron N., “The Functional Psychoses” in Hunt J. McV., Personality and Behavior Disorders, vol. II,
Ronald, New York 1944.
[6] Silvano Arieti (a cura di), Manuale
di Psichiatria in 3 voll.: vol. I, p. 583, Boringhieri, Torino 1985.
[7] Personalmente concordo con l’orientamento
di diagnosticare il “disturbo” fino a prova del contrario, ossia fino a quando
non compaiono sintomi diacritici di psicosi. Ho visto numerosi psicotici bipolari,
ma la loro percentuale rispetto agli affetti dal disturbo non psicotici che ho
avuto in trattamento rimane bassa. È opportuno, a ulteriore chiarimento della
prospettiva assunta dalla psichiatria classica di fine Novecento, sottolineare
che la categoria in cui si faceva rientrare il disturbo bipolare
maniaco-depressivo era quella delle “psicosi funzionali”, dunque una categoria
diversa da quella della paranoia e della schizofrenia.
[8]
AAVV., Diagnostic and Statistical Manual
of Mental Disorders, DSM-5, p. 123 (traduzione delle
autrici) American Psychiatric Publishing, Washington,
DC, 2013.
[9] Alla luce degli studi degli
ultimi 20-30 anni, questo criterio si è rivelato più prossimo alla realtà di
quello adottato dal DSM. Le sindromi depressive e i disturbi da stress, infatti, nella massima parte dei
casi riconoscono cause in grado di determinare un complesso squilibrio
neuroendocrino e fra i sistemi neuronici mediatori delle emozioni, che però
solo in persone con particolari profili genetici e fenotipi cerebrali possono
generare quadri quali una depressione con deliri, disturbi cognitivi gravi e
negativismo assoluto, oppure, fra le sindromi da stress, un PTSD.
[10]
Cfr. Henry Ey, P. Bernard, Ch. Brisset,
Manuale di Psichiatria, pp. 301-313, Masson,
Milano 1983.
[11] Kolb, Psichiatria Clinica, p. 583, Idelson,
1979.
[12]
Cfr. Kolb, op. cit., ibidem.
[13] Note e Notizie 04-07-15 Una
famiglia con disturbo bipolare rivela elementi di patologia molecolare. Si può
leggere in questo articolo di recensione l’interessante risultato ottenuto
dallo studio della famiglia mediante cellule pluripotenti staminali indotte.
[14] Note e Notizie 16-04-16 Un
possibile marker di stato in
depressione e mania bipolare.
[15] Note e Notizie 13-06-20 Orologio
biologico nella vulnerabilità alla depressione; si veda anche: Note e
Notizie 06-06-20 Il rapporto fra luce e depressione in una nuova via cerebrale.
Si consiglia la lettura di questo articolo anche per i riferimenti ad altri
interessanti studi connessi al rapporto fra luce e cervello (in
precedenza su questo argomento: Note e Notizie 01-03-14 Come la luce
riprogramma i ritmi circadiani metilando il DNA; ancora prima, ma ancora
attuale: Note e Notizie 12-05-07 Il gene CLOCK lega mania e disturbi
circadiani).